Carlo Bisi – Un’ironia così abilmente mascherata…
II 18 dicembre 2010 sono trascorsi 120 anni dalla nascita di Carlo Bisi. A ricordo della sua figura umana oltre che artistica, riproponiamo qui un affettuoso articolo scritto dalla nipote per il quotidiano Libertà di Piacenza, comparso il 18 dicembre 2008, per celebrare il genetliaco dell’Artista.
Un’ironia così abilmente mascherata… di Carla Bisi Castellani
Il 27 dicembre del 1908 usciva il primo numero del Corriere dei Piccoli, settimanale per ragazzi edito dal Corriere della Sera. Per celebrarne degnamente il centenario, la Fondazione Corriere della Sera ha organizzato una bella mostra retrospettiva, corredata dal catalogo Skira, che si è svolta a Milano, presso la Rotonda di via Besana, dal 22 gennaio al 17 maggio 2009. Il Corriere dei Piccoli fu il settimanale più letto e più amato dai ragazzi italiani fin dai suoi primissimi numeri. Nel corso di un secolo la testata, per adeguarsi al mutare dei tempi e dei gusti dei giovani, subì molte trasformazioni, ma agli anziani come chi scrive, è rimasto nel cuore il formato iniziale.

Le comiche o strabilianti avventure dei molti personaggi del “Corrierino” erano narrate, ogni settimana, attraverso sequenze di otto vignette, che riempivano una intera pagina a colori squillanti ed erano corredate, ciascuna, da due coppie di versi orecchiabili. Se entro l’ottava vignetta l’avventura non era conclusa, bisognava aspettare sette interminabili giorni per conoscerne il seguito; perciò, a casa mia, l’arrivo del Corriere dei Piccoli scatenava furibonde risse tra i miei fratelli che urlavano: “Prima io!” Per troncare le contese, mia madre stabilì che si rispettasse l’ordine di età. A me, la più piccola, spettava l’ultimo posto, ma poiché ancora non andavo a scuola, la mattina era tutta per me. Rannicchiata in una poltrona, col giornalino squadernato sulle ginocchia magre, fu sul Corriere dei Piccoli che imparai a compitare, e poi a leggere spedita, e conobbi il piacere infinito delle prime letture.

Il mio personaggio preferito era Sor Pampurio, con la famiglia, la servetta, il canarino e il gatto. C’era un motivo assai valido per questa mia preferenza, condita da un pizzico di orgoglio. Si dà il caso che il geniale creatore e illustratore di Sor Pampurio fosse Carlo Bisi, lo zio molto amato di cui porto il nome. Ed è grazie alle molte tavole autografe disegnate da lui, e da me gelosamente custodite per tanti anni, che a Carlo Bisi e al Sor Pampurio nella mostra milanese è stata riservata una sezione monografica dell’esposizione. È stata una serie di fortunate circostanze che ha consentito che venisse tributato questo riconoscimento a Bisi che, se fosse in vita, ne sarebbe felice e orgoglioso. Carlo Bisi nacque il 18 dicembre 1890 a Brescello, nell’antichità florida colonia romana, oggi piccolo centro della Bassa Padana, assai noto per via di Peppone e Don Camillo, immortalati da Giovannino Guareschi, che di Bisi fu discepolo e amico. Diplomatosi nel 1910 presso l’Accademia delle Belle Arti di Parma, e ben presto richiamato alle armi, fu distaccato presso il Giornale del Soldato, dove si affermò come disegnatore e umorista di talento.
A guerra finita, continuò a lavorare con ritmo intenso per le riviste il Numero, L’Asino, il Guerin Meschino, e altre testate dell’epoca, guadagnandosi larga notorietà e consenso presso i lettori. Nel 1916 fu chiamato a collaborare al Corriere dei Piccoli dal primo direttore, Silvio Spaventa Filippi, e nel 1929 diede vita al Sor Pampurio, il più famoso dei suoi numerosi personaggi. Fu in quel periodo che si trasferì definitivamente a Milano, facendone la sua seconda patria. A Milano si stabilì in via Bronzetti, dove l’Istituto delle Case Popolari affittò a diversi artisti appartamenti inondati di luce, ideali per sistemarvi uno studio.


Là, fino al culmine della Seconda Guerra Mondiale, Bisi occupò due alloggi sovrapposti: in quello superiore abitava con i genitori anziani, in quello inferiore ricavò lo studio che, nel mio ricordo di bambina, assomigliava al regno di un mago; una sola grande stanza con un tavolo enorme sul quale avevano posto vasi colorati pieni di pennelli, vassoi con i tubetti di tinta, e gomme, e matite, e immacolati fogli da disegno, e non mancava mai una ciotola di caramelle al miele. Poi pochi mobili austeri disegnati da lui stesso; un cavalletto antico, un torchio per le incisioni, e tavolozze e libri e quadri dovunque: appesi fino a coprire completamente le pareti, appoggiati sul cavalletto, e addossati al muro; quadri e quadri e acqueforti, perfino nel bagno. Infatti Carlo Bisi, oltre che disegnatore e fine umorista, era incisore e pittore di grande talento, e ottenne molti premi e riconoscimenti ufficiali in campo sia nazionale che internazionale. Se la sua fama fu assai inferiore al suo merito, dipese in parte dal fatto che non fu mai un fedele seguace del fascismo imperante, e in parte dalla sua predilezione per la pittura figurativa. Amava il paesaggio, la Bassa Emiliana, il Po con le sue barche, i campi dai colori gialli o terrosi, i soggetti umili: una vecchia cascina con un carro nel portico, un vaso di rosmarino, un muro con un balcone sbilenco e il bucato steso sulla corda…
Questa fu la sua pittura prevalente anche in tempo di guerra, quando, sfollato il padre infermo presso i nipoti nella campagna reggiana, lui faceva assiduamente la spola tra San Sisto (vicino a Poviglio, a poca distanza da Brescello) e Milano, alternando i dipinti a illustrazioni e vignette. Nel pieno del conflitto, ceduto il grande studio a un amico artista, la cui casa era stata distrutta, sistemò per sé uno studiolo in quella che era stata la stanza dei genitori; e così, quanto ritenne di minore importanza, fu relegato in soffitta. In quel piccolo studio, Bisi continuò a lavorare per molti anni, dipingendo e illustrando, fin quando l’indebolimento della vista lo indusse a chiudere, dopo mezzo secolo, la sua attività per il Corriere dei Piccoli, dedicandosi unicamente alla pittura. I dipinti di epoca successiva alla guerra, che in prevalenza ritraggono la vecchia Milano nelle albe semideserte, dove raramente compare una figura appena accennata, – uno spazzino, un lattaio – dipinti che io chiamerei “sognanti”, per i loro tratti e colori sfumati, lo hanno fatto paragonare agli impressionisti, e in particolare a Utrillo. Nell’ultimo difficile periodo della sua vita, quando la cecità quasi completa lo devastò col rimpianto di matita e pennelli, soltanto l’affetto di tutti i nipoti e degli innumerevoli amici riusciva a dargli conforto. Alla sua scomparsa, lo sgombero del suo alloggio fu compito dei nipoti di Milano. Compito doloroso, in particolare per me, assai legata a tutte le cose di famiglia. Una volta sgombrato l’appartamento, rimaneva la soffitta, abbandonata da molti anni: un vecchio locale col cielo di tegole nude poggiate su travi, infestato da polvere e ragni. Affidarne lo sgombero a un rigattiere pareva la soluzione più semplice, ma io decisi di occuparmene personalmente. Un sabato venni in treno da Pavia a Milano, mi arrampicai per le lunghe scale fino alle soffitte, aprii la porta chiusa da un vecchio lucchetto, e tra la polvere, le ragnatele e qualche cesta di carbone e di legna da ardere, scorsi alcune cassette militari ermeticamente chiuse. Ecco dunque a cosa servivano le minuscole chiavi sconosciute, incluse nel mazzo. In quelle cassette tornate dal fronte, trovai gli originali di moltissime tavole; c’era il Giornale del Soldato, il Guerin Meschino, illustrazioni di libri, e… il Sor Pampurio.
Eccolo lì, il Sor Pampurio, in originale, con la famiglia, la servetta, il canarino e il gatto; eccolo, acquerellato con colori squillanti, come non l’avevo mai visto prima. Sabato dopo sabato, portai tutti i disegni a casa mia, guardai commossa le vecchie tavole ad una ad una, scompaginando senza riflettere il meticoloso ordine di mio zio, e le raccolsi in un grosso baule, dove rimasero ignorate per molti anni. Ma il tempo corre veloce. Venne anche per me il giorno della pensione ed io, per riempire il vuoto lasciato dalla mia attività universitaria, riordinai le pagine di un vecchio diario, e pubblicai un volumetto di memorie sulla mia infanzia, sotto il titolo La casa di Via Colombo-Tempo di guerra a Milano. Quando la casa editrice IBIS mi chiese qualche illustrazione a corredo del testo, il pensiero mi corse a quei disegni racchiusi nel baule e alle avventure di Pampurio, che Bisi raccontava in rima, ispirandosi spesso, con nostro divertimento, alle vicende della mia famiglia. Era facile per noi riconoscere la signora del piano di sopra che scendeva agghindata in rifugio, la piccola portinaia spaventata, la servetta che sprecava lo zucchero attirandosi i rimproveri di nostra madre, il capofabbricato che imperversava con l’oscuramento, a parer suo, mai abbastanza scuro… Così alcune di quelle vignette, stampate nel mio primo libro, furono per me un nuovo regalo dello zio Carlo. Il mio libro capitò tra le mani di Luisa Erba, storica dell’arte e collega universitaria; lei lo passò a Grazia Nidasio che, con le sue celebri Valentina Melaverde e Stefi, è stata un’altra delle colonne del “Corrierino”. Grazia Nidasio, da sempre ammiratrice e amica di Bisi, da anni cercava invano di rintracciarne i parenti e subito mi contattò. Poi la vicenda prese a correre veloce: da Grazia Nidasio a Giovanna Ginex, storica dell’arte e curatrice della Mostra, come già della precedente esposizione della “Domenica del Corriere”, e a Francesca Tramma, responsabile dell’Archivio. Ci incontrammo a casa mia: per loro fu una felice sorpresa scoprire quelle tavole autografe di Bisi; per me fu l’emozione profonda di ridare vita, sia pure per breve tempo, al Sor Pampurio e al suo Autore. I miei ricordi e il mio interesse per quelle splendide tavole erano polarizzati specialmente verso il tempo della guerra, il tempo della mia infanzia; ma l’attenzione delle esperte si dirigeva principalmente ai disegni più antichi, alcuni risalenti ai primi decenni del secolo scorso, di cui rispecchiavano bonariamente i vizi borghesi e le innocue manie.


I disegni più significativi sono ora all’Archivio del Corriere per subire un leggero restauro di pulizia; sono là, custoditi con cura, in attesa di rinverdire agli anziani tante memorie appannate dal tempo e di interessare i ragazzi di oggi a un tipo di illustrazione, di umorismo e insieme di vita, che ben pochi di loro conoscono attraverso i racconti dei nonni. Il Sor Pampurio, eternamente scontento, apparentemente maschilista e tutto d’un pezzo, ma in realtà sempre pronto ad accedere alle ambizioni borghesi della moglie, e ad aderire alle disposizioni governative, era la caricatura ironica e affettuosa del padre di famiglia di un tempo, che doveva farsi carico in prima persona di tutti i problemi famigliari: il cambio dell’appartamento, la sostituzione della domestica, la scelta della villeggiatura, l’educazione del rampollo, la perfetta osservanza delle norme vigenti durante la guerra, e così via. Carlo Bisi era un uomo mite, e al tempo stesso ricco di un umorismo solitamente bonario, ma talvolta pungente. Ecco ad esempio la sua fulminante battuta diretta ad una conoscente, ansiosa di strappargli un giudizio positivo sulle attitudini artistiche della figlia: “Piuttosto che far del male…”. Agli occhi degli anziani e degli osservatori più attenti, questo suo spirito ironico traspare anche da certe vignette, sotto forma di sottile critica al regime fascista, e di scontento per l’inutile guerra e i duri sacrifici che a tutti imponeva. Ma era un’ironia così abilmente mascherata, che passò sempre indenne sotto gli occhi dei censori fascisti. Soltanto noi capivamo, e ridacchiavamo di gusto insieme all’autore, raccolti intorno alla tavola della nostra cucina, così mal riscaldata, e illuminata soltanto da una tremolante candela. Carlo Bisi morì a Reggio Emilia il 27 febbraio del 1982. Il suo funerale avvenne qualche giorno dopo a Brescello; i bambini delle scuole erano tutti schierati sulla piazza inondata di sole, e scherzavano tra loro, felici di quella insperata vacanza. Poi le campane suonarono, un vento leggero fece ondeggiare le bandiere e i brescellesi applaudirono forte al passaggio del loro illustre concittadino, come adesso si usa. Credo che la cerimonia, che non era affatto triste, gli sia piaciuta molto.