Il disegnatore del mare
L’amore per il mare di solito nasce dalla vicinanza del mare stesso; chi abita in località di mare afferma infatti di non potere fare a meno della sua vista o anche solo della sua presenza, del suo odore, del suo incessante rumore…
Il caso di Franco Caprioli è invece diverso; nato nel 1912 a Mompeo, un piccolo paese in collina in provincia di Rieti, ad almeno 100 km dal litorale laziale, sviluppò un incredibile amore per il mare, inizialmente senza averlo mai visto… e pare anzi che la prima volta che lo vide dal vero, a 16 anni, durante una gita in Libia, ne rimanesse molto deluso.
Forse uno zio, capitano di fregata, potrebbe avergli trasmesso l’amore per il mare e per i paesi esotici, fatto sta che fin da bambino Caprioli disegnava il mare. Adolescente, si nutre dei romanzi d’avventura, in particolare di Verne, Salgari, Melville, London, Stevenson, tutti autori in cui il binomio mare/avventura si salda in un forte legame narrativo.
La sua formazione artistica giovanile è inizialmente pittorica, ma in breve tempo se ne discosta per dedicarsi ai “cineromanzi”, come si chiamavano allora, dal momento che i balloon del fumetto erano allora vietati dal fascismo, troppo americani e quindi nemici giurati. Dal 1936, a 24 anni, si dedica prevalentemente all’illustrazione e al disegno per ragazzi, collaborando a testate come Il Vittorioso e Argentovivo, dove pubblica le sue prime storie di mare, come La tribù degli uomini del fiume, Il segno insanguinato, Il mistero del Budda di Giada, Gino e Piero. Il fumetto ancora non c’è, in sostanza abbiamo ancora delle vignette con le didascalie sottostanti, e il segno è ancora acerbo, ma quanta potenza c’è già in quei primi riquadri senza commenti dedicati al mare unico protagonista assoluto, le cui onde a tratti ricordano quelle del grande pittore giapponese Katsushika Hokusai.
Che cosa attirasse Caprioli verso il mare in modo così totale, non è dato saperlo; un collega fumettista come Carlo Peroni ebbe a dire che il suo viso si illuminava quando, parlando, il discorso finiva sul mare: descriveva le ore che amava trascorrere ad osservare il mare, si capiva che lo amava proprio molto. Era forse un’ossessione, vista quanta parte della sua produzione artistica se ne occupa, ma una ossessione solare, gioiosa, anche divertita, mai cupa od oscura, anche nei racconti più tragici. Liscio come l’olio, o infuriato in tempesta, con colori dal verde chiaro al viola, il mare di Caprioli era davvero un protagonista della storia narrata, non certo un ambiente come un altro o un fondale su cui dipingere… le imbarcazioni che lo solcano, possono essere dei grandi vascelli o umili barche di pescatori, corazzate nordiste o misere zattere di naufraghi alla deriva, ma il mare di Caprioli li accoglie o li sbatacchia con lo stesso democratico moto ondoso.
Perfino in un racconto sul Corriere dei Piccoli negli anni ‘40, intitolato Nel deserto di Cartagine, ci sono bellissime scene marine, in cui le onde sembrano replicarsi nelle successive dune del deserto, così come in quegli stessi anni in un contesto narrativo favolistico (L’incantesimo dell’orco Barbalà) troviamo una barca in difficoltà in mezzo ad un fiume tempestoso, mentre nel racconto degli anni ‘50 Il tesoro di Tahorai-Tiki-Tabù troviamo le immagini di una memorabile caccia alla balena, con mare, barche e balene prima in un vertiginoso moto orizzontale e poi verticale che anticipa il suo personale Moby Dick che verrà anni dopo. Perfino nei libri di storia, Caprioli, grande appassionato di storia e archeologia, riusciva ad inserire un mare protagonista, nelle magistrali illustrazioni disegnate per la Nuova Enciclopedia illustrata dei ragazzi dell’editore Curcio negli anni ’60 (periodo in cui fu attivissimo soprattutto per il mercato inglese), con una vera enciclopedia di navi a solcarlo, navi greche, romane, egizie, etrusche, cartaginesi, fenicie, vichinghe, e poi galee e galeoni, e per finire, un vero elenco illustrato di oggetti di mare, fra cui i tanti nodi alla marinara.
Gusto del disegno delle navi che ritroviamo in tanta produzione degli anni ’50, con racconti di carattere storico come Aquila Maris e Hic sunt leones, o ancora con la storia dei viaggi di Magellano (Al di là della Raya). I mari del Sud sono indubbiamente lo scenario preferito di Caprioli, con il loro immancabile contorno di indigeni (altra sua grande passione fu infatti l’etnologia), mai comunque raffigurati come una massa indistinta, ma sempre tratteggiati con forti personalità, anch’essi in fondo uomini di mare. Caprioli è noto nel mondo dei fumetti, oltre che per la sua maestria nel disegno, per una tecnica originale di “puntinato”, ossia, puntini con l’inchiostro nero che sostituivano le ombre del viso e dei corpi, mutuata dal movimento pittorico francese del pointillisme. Ora, quella sua speciale tecnica “dei puntini” esaltava in particolare le immagini dei mari in tempesta e delle isole dei mari del Sud. Ma in realtà sono tutti i mari a intrigarlo, dallo Stretto della Manica alle province atlantiche canadesi, dai ghiacci dell’Antartico (come nel Viaggio di Shackleton) al Mar delle Azzorre, dalle Hawaii alle coste dell’Australia, da quelle del Brasile (con un giovane Garibaldi) ai fiordi norvegesi al Mar Rosso. E i suoi uomini sono uomini di mare veri, rozzi, impavidi, coraggiosi, miserabili, ambiziosi, generosi, diversi sì fra di loro, ma tutti uguali davanti alla potenza terrificante del mare in tempesta o alla pace di un tramonto dorato, a personificare le loro paure e i loro desideri.
Così come sono veri, vivi, vivissimi, gli animali che abitano il suo mare, le balene, le piovre, gli squali, le foche, i delfini e gli immancabili gabbiani, talmente tipici da diventare quasi una firma sui disegni non firmati. Un mare ricco di personalità, insomma, sia quando Caprioli narrava in proprio, come I Fanti di Picche, L’Isola Giovedì, Fra i Canachi di Matareva, La Perla Nera, L’Isola Tabù, sia quando interpretava racconti altrui, cosa che gli capitò molto spesso, soprattutto negli anni ‘70: memorabili le storie ridotte da Verne (come L’isola misteriosa, Un capitano di quindici anni, I figli del capitano Grant) ma anche da Mark Twain, o da Edgar Allan Poe (impressionante il gorgo marino visto dall’interno disegnato nel racconto Una discesa nel Maelstrom, un mare quasi verticale) o ancora naturalmente Moby Dick di Melville, quasi il suo testamento artistico (uscì nel 1975, un anno dopo la morte). Un mare di tutte le epoche, dai romani ai vichinghi, dal ‘500 al ‘700-‘800 ai giorni nostri fino al futuro, raccontato con questo tratto pulito e semplice, ma con grande rigore e precisione, frutto della sua quasi maniacale precisione nel documentarsi su testi e riviste scientifiche e geografiche, prima di cominciare a disegnare. Certo, sarebbe riduttivo considerare Caprioli solo il poeta del mare, ma non c’è dubbio che sia stato il suo grande ispiratore.
Paolo Gallinari
In questa sezione viene presentata la storia Fra i canachi di Matareva, racconto di mare apparso su Topolino dal 10 settembre al 17 dicembre 1940 in 15 tavole a colori e su testi di Caprioli. La storia, tra le più note e ristampate, il cui seguito diventerà poi L’isola Giovedì, è ambientata nei Mari del Sud e narra le avventure di due giovani italiani, il marinaio Italo e Maya. Presentiamo inoltre la breve storia di 6 tavole Otto giorni su una zattera pubblicata a colori su Il Giornalino il 9 maggio 1971 e qui riproposta in bianco e nero. Il racconto è un adattamento a fumetti di Appunti per una gita di piacere di Mark Twain.
L’imperatore del mare, 32 tavole a colori e testi di Mario Basari, è una bella e poco conosciuta storia di Franco Caprioli perché, dopo essere stata pubblicata su Il Vittorioso dal n.1 al n.26 del 1961, non fu mai più ristampata. Con questo racconto, Caprioli riprende il tema della Roma imperiale, già affrontato a più riprese. La storia si svolge ai tempi dell’imperatore Caracalla ed ha come protagonista il barbaro Taranis, figlio di un re britanno, portato come ostaggio a Roma e poi preso in custodia dal nobile romano Marcio Macione, il quale lo accoglie nella sua casa dove vive con la bellissima figlia Licia. Taranis, creduto colpevole di una congiura nei confronti di Caracalla (in realtà ordita dal nobile Clodio Albino), riesce a fuggire da Roma con una nave insieme a Licia, dopo che i pretoriani ne hanno ucciso il padre adottivo e incendiato la casa. Taranis si impossessa di una nave bireme romana e viaggia per mare distruggendo ogni insediamento romano, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “imperatore del mare”, fino ad arrivare allo scontro finale proprio con il suo principale nemico, il nobile Clodio Albino al quale però dovrà arrendersi perché questi ha preso in ostaggio Licia. Ma la morte improvvisa di Caracalla a Roma fa salire al trono il nuovo imperatore Olpellio Macrino, detto il Giusto, che libera Taranis e consente a lui e a Licia di partire per la Britannia. Da notare le scrupolose e suggestive ricostruzioni di vedute della Roma imperiale, delle sue strade e dei suoi quartieri, per le scene di lotte fra i gladiatori, per l’accurata riproduzione dei costumi dei romani e dei suoi monumenti, come il Tempio di Vesta.
L’ancora sommersa, 36 tavole a colori e testi di Franco Caprioli, fu pubblicata su Il Vittorioso dal n.14 al n.25 del 1959. La storia non fu mai più ristampata, eppure, il racconto ha tutti gli ingredienti delle storie più caratteristiche di Caprioli, sia perché è disegnata con lo stile “a puntini”, sia perché è ambientata sul mare e sia perché è ricca di ricostruzioni accurate di navi, tipi, costumi, armi ed altro. La vicenda inizia da un gruppo di cacciatori di foche che con la loro imbarcazione approdano su un’isoletta dell’Oceano Indiano e, durante un’immersione, trovano un forziere legato ad un’ancora sommersa nella sabbia con una misteriosa mappa che indica un tesoro nascosto sull’isola dal corsaro Surcouf. Gli uomini decidono di mettersi alla ricerca del tesoro e da qui inizia l’avventura, tra antichi vascelli ritrovati, lotte con piovre e grotte misteriose. La storia, una delle più lunghe realizzate da Caprioli, è singolare anche perché, nella quinta puntata, l’autore inserisce un secondo racconto riguardante le movimentate vicende che un secolo prima avevano portato il vascello del corsaro sull’isola.
Il tesoro di Tahorai-Tiki-Tabù, storia di 30 tavole a colori, scritta da Franco Caprioli, fu pubblicata su Il Vittorioso dal n.1 al n.15 dell’anno 1954. È il tipico racconto di Caprioli, fatto di mare, tesori, templi e isole. La storia racconta le avventure di Gino e Franco, due ragazzi che, partiti sulla baleniera Santa Marta, naufragano e a nuoto riescono a raggiungere l’isola di Tahorai-Tiki-Tabù, una terra apparentemente deserta e consacrata a strani idoli. Qui i due ragazzi si trovano coinvolti in una lunga serie di avventure, tra selvaggi e pirati e la ricerca di un misterioso tesoro. La storia ebbe solo una mediocre ristampa, con le tavole smembrate, in un albo dei Fratelli Spada, pubblicato insieme a Dakota Jim nei Quaderni del fumetto n.6, ottobre 1973.